San Potito Ultra e l’Irpinia
Avete appena lasciato Avellino, per inoltrarvi in Alta Irpinia e dopo appena sette kilometri, a ridosso di Atripalda, un tabella vi dice che siete a San Potito Ultra. Vi domanderete perché Ultra. Non perché abbia chissà quali indimenticabili caratteristiche, ma semplicemente perché apparteneva a quel Principato Ultra che in età moderna identificava l’attuale Irpina. Soddisfatta la prima curiosità, descriviamo un po’ il paese. Poco più di millecinquecento abitanti che si dividono, quasi in parti uguali, tra il centro abitato e le sue campagne. E sì, perché se il paese è piccolo, tutto disposto simmetricamente lungo le due arterie parallele della Via Appia e di Via Roma, il resto del suo territorio è abbastanza vasto, quasi tutto coltivato a viti ( signori, siamo nella zona del Fiano!), a nocciole , ulivi e alberi di frutta.
Fa da scenario il verde, tanto verde, mentre il piccolo, ma assai articolato e avvincente tracciato del torrente Salzola lambisce vecchi mulini e costeggia l’unica vera contrada rurale, la Ramiera, cosi detta, perché vi si trova un grande opificio ottocentesco, ora magnifico esempio di archeologia industriale, dove si è lavorato per tanti anni il ferro e poi il rame. Insomma una contrada di fabbrica in cui l’eco della acqua che scorre ricorda ancora quanto essa un tempo lavorasse per gli uomini. Ritorniamo al paese: la strada interna vi accompagnerà senza deviazione alcuna nella grande piazza, il cuore pulsante della comunità, sulla quale si affaccia il palazzo del Comune, appartenuto prima ai Baroni Amatucci, ritornato al suo splendore di un tempo, dopo un accurato recupero architettonico. Vi ha sede anche il Museo del Lavoro, intricante testimonianza della cultura materiale delle comunità locali ma anche di un più ampio universo sociale e geografico con manufatti, mestieri, curiosità le cui storie ricostruiscono la trama affascinante del lavoro dell’uomo nel tempo. Di lato, si ergono la Chiesa Madre, dedicata a S. Antonio Abate, risalente al XVII secolo, con la sua bella torre campanaria e la piccola Congrega dedicata alla patrona, Maria SS.del Soccorso, che invece è d’impianto cinquecentesco come il palazzo marchesale, che era di fronte, purtroppo abbattuto con il terremoto del 1980. A queste testimonianze sacre si aggiunge quella un po’ più distante della Chiesa di S.Antonio da Padova, confinante con il nostro edificio, piccolo ma pregiato esempio di arte povera del XVII secolo, con il suo bel portale e soprattutto con una imponente torre campanaria, ormai silenziosa, che sorveglierà i vostri risvegli. Questi elementi architettonici sono tutto ciò che rimane della storia di San Potito, una storia che si perde nel tempo e più spesso si confonde con la leggenda. Sembra che le origini di San Potito si ricolleghino in qualche modo al villaggio di Radicozzo, distrutto una prima volta nel 200 A.C., forse originariamente chiamato Ropicuozzo. L’etimologia del nome primordiale, può verosimilmente fare riferimento all’iniziale disposizione del borgo presso la sorgente Radice (nei pressi di Candida). E’ probabile che i Longobardi, più tardi, avessero dato vita ad un vero e proprio borgo di dimensioni maggiori, che avrebbe finito per inglobare i due centri. Per avere qualche notizia più certa bisogna andare alla fine del XIII secolo, quando il Casale di “Santo Petito” risulta, unitamente ad Arianello (ora frazione di Lapio), Parolise, Salza, San Barbato e Serra e tutta la Baronia di Candida, affidato in amministrazione ai Filangieri, Conti di Avellino. A questa amministrazione feudale, segui dopo il 1670 quella di Carlo Calò, Marchese di Villanova. La storia successiva alla fine del periodo feudale si lega, invece, strettamente alla famiglia dei Baroni, Amatucci il cui capostipite Nicola d’Amatuccio, giudice regio a vita nominato, nel 1588, giunse qui da Napoli. L’impronta della famiglia, baroni in virtù del grande patrimonio terriero in proprio possesso, si lega strettamente con la vita economica e sociale della comunità, come racconta l’archivio di famiglia conservato nel Museo del Lavoro. La sua presenza, per quanto in progressivo declino, si avverte fino alla vigilia del terremoto del 1980. Con la vendita del palazzo baronale al Comune, avvenuta nel 1983, la famiglia esce definitivamente di scena. Ma non per questo si ferma la storia del paese. Essa prosegue, con la ricostruzione post sisma e l’allargamento lungo la Via Nazionale, dove il Viale Sandro Pertini, magnifica passeggiata all’ombra di maestosi platani, fa ammirare le costruzioni più recenti ed un concentrato davvero eccezionale di attività commerciali, dove fanno bella mostra di sè prodotti tipici, dagli insaccati, al torrone, ai dolci e una gastronomia di antichi sapori offerta da ristorantini e pizzerie nel frattempo sorti lungo tale arteria. Insomma, un paese tranquillo e carino vi attende per cominciare la vostra scoperta dell’Irpinia.
L’Irpinia
Abbazia del Goleto – S.Angelo dei Lombardi;
Castello Longobardo – Rocca S.Felice;
Oasi WWF – Conza della Campania;
Stazione sciistica – Laceno;
Borgo di Castelvetere – Castelvetere sul Calore;
La natura di Serino – Serino;
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